Pensieri - Carloromagnolo

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Carlo Romagnolo


Mi piacciono le città di notte. Mi piace l’energia che sprigiona un movimento improvviso,  il fragore di un’auto che irrompe sulla scena , interrompendo il silenzio perfetto del sonno che accomuna la gente…e i fari che appaiono all’orizzonte sono una minaccia oppure sono la luce della speranza, dipende da noi e dai nostri umori. La città di notte si dilata, si lascia guardare dentro… e a volte  i manichini nelle vetrine troppo illuminate, congelati nei loro assurdi teatrini, ci pongono delle domande.

Navighiamo quotidianamente nel mare infinito degli spazi cablati, che sono carne e pensieri, formiamo sinapsi di cui non vediamo né l'inizio né la fine, lo spazio esterno e lo spazio interno si confondono. Il problema dell'identità si fa assillante e sta a noi trovare l'equilibrio, la distanza giusta.

Quante volte ci troviamo a buttare una foto nel cestino del nostro desktop, ma ben più "forte" è il gesto di strappare o bruciare una foto.
Ci sono cose che solo la macchina può fare come duplicare un'immagine identica, rifletterla, riproporla in una diversa gradazione cromatica...ma il lavoro del "comporre", prettamente umano, è davvero sublime!

Una delle lezioni più belle della pittura ,secondo me, è quella che ci ha lasciato  Vassily Kandinsky. Lui è riuscito a creare capolavori unendo la fantasia più colorata a quel quid potremmo dire di "scientifico", di "universale" che indubbiamente c'è nella visione, studiando il valore dei segni, il peso delle forme e dei colori, alla ricerca sempre della "giusta distanza".

La "giusta distanza" è tutto. C'è una giusta distanza tra le parti di un'architettura, come c'è una giusta distanza tra un pianeta e la sua stella, una giusta distanza per guardare un quadro e una giusta distanza nei rapporti interpersonali. Quando si dice che un tipo è "invadente", si intende proprio indicare una persona che non riesce a trovare le giusta distanza. Naturalmente questa idea di "giustezza" contiene l'idea della "soggettività" e l'idea del "contesto"  storico e socio-culturale. Accade comunque che si trasgredisca ad essa e questo assicura il cambiamento e, nel campo propriamente estetico, l'evoluzione del "bello" e la libertà della sua fruizione.

Io credo sia molto importante fruire liberamente dell'arte, guardare le opere con la mente pura, cercare in esse le cose di cui abbiamo bisogno. Quando si va a vedere una mostra, secondo me, è preferibile guardare prima le opere e solo in un secondo momento leggere le intenzionalità dell'autore o peggio i significati che altri attribuiscono ad esse. Solo così  possiamo uscire dal ruolo di spettatori passivi e diventare elementi attivi della comunicazione. A proposito del contesto, prendendo per esempio un quadro impressionista,  un uomo del novecento, magari amante dell'astrattismo, tenderà probabilmente a guardarlo da vicino, ad andargli dentro per assaporare tutti i tratti e le macchie che scompongono la luce, mentre un uomo dell'ottocento, magari amante dell'arte classica, tenderà a guardarlo da lontano, per avere l'effetto realistico. Come abbiamo già detto una "giusta distanza" uguale per tutti non c'è.

C'è anche una giusta distanza nel tempo, per esempio quella che occorre per superare un dolore o per dare il giusto peso alle cose, e anche questa naturalmente non è immutabile o la stessa per tutte le persone. La mia vita, vista da un centinaio di anni, vale poco, molto poco. Se avrò fatto del bene, (o anche del male) vivrò un po' di più, ma ben presto sparirò. E il Sole continuerà a splendere sulla vita senza me. Posso escogitare "espedienti" per vivere un po' di più, come "passare alla storia" (peccato di vanagloria!) o farmi seppellire sotto un albero, nell'illusione di esistere ancora in qualche modo dentro un anello di legno, ma alla fine anche l'albero morirà, verrà bruciato, e sparirà, come spariranno Venezia, la Cupola di San Pietro e le Piramidi. E il Sole sempre a splendere sui resti e sulle rovine. Ma verrà il tempo, se non erro tra 5 miliardi di anni, in cui  anche il sole si spegnerà,e sarà in quell'esatto istante che la mia vita varrà quanto quella del sole (basta saper aspettare!:)). Dunque la " giusta distanza" per guardare la mia vita, perchè sia in equilibrio con tutto ciò che vedo è forse 5 miliardi di anni?

E' terribile pensare a uno spazio senza luce. Riesco a vedere soltanto il movimento, l'incessante danza degli atomi, che si uniscono e si allontanano a due a due, per poi riunirsi a "mazzi" di tre, di quattro, magari dopo una giravolta e un inchino, come nelle danze medievali.

Io amo l'arte in cui il "singolo" sta in equilibrio con " l'universale", la "fantasia" con " la scienza" (intesa almeno come scienza della visione), "l'impulso" con la "composizione". Questo è avvenuto nel Rinascimento, ma  penso  che si riveli quasi sempre nella " versione  italiana" di molte epoche, anche di quelle più anarchiche e di rottura, basti pensare ai favolosi anni 50, alla differenza tra Jackson Pollock, Willelm De Kooning ,  Karel Appel, Wols  e i nostri  Afro, Renato Birolli, Lucio Fontana, Alberto Burri. In quest'ultimo poi gli equilibri delle forme e il tormento dei materiali, raggiungono davvero il sublime. Le opere di Burri a me comunicano un sentimento che definirei mistico.
Chissà se siamo alla giusta distanza tra Oriente e Occidente.

E' bello trovare il momento in cui un segno smette di essere se stesso per rappresentare qualcosa, ed è bello vedere quando un'immagine appena la percepiamo, è già qualcosa d'altro. Non mi piacciono le forme chiuse, ci deve sempre essere una via di fuga, una possibilità di cambiamento. I contorni troppo marcati e  definiti (espressionismo) hanno portato alla guerra, mentre i contorni indefiniti (impressionismo) hanno portato tutti al Moulin de la Galette! E' solo un esempio però, a volte  esemplificare e semplificare troppo è fuorviante, infatti forme chiuse sono anche quelle di Keith Haring o di Mirò.

Mi piacciono le storie che viste da lontano sembrano idilliache, ma che più ti avvicini più ti addentri in labirinti oscuri, come in un film di Hitchcock ...perchè così è la vita.

Pensare che dipingere Venezia sia banale, è la cosa più banale che ci sia. Anzi più un soggetto è risaputo e più è difficile creare qualcosa di originale e significativo ( a proposito di Venezia pensiamo cosa è riuscito a farne  William Turner!). Non è più il tempo di “ammazzare i chiari di luna”, detesto l'arte che debba essere per forza  “autre”,  come detesto i “motivi firma” e tutto ciò che può servire a rendersi riconoscibili nei generi o nello stile. Oggi tutto coesiste ed è facilmente accessibile, e penso che l'arte debba riflettere questo. Per me uno dei più grandi artisti contemporanei è Gerhard Richter, che ha fatto del “ non stile” il suo stile, che passa tranquillamente dalla riproduzione delle fotografie ai quadretti di colore, dai ritratti minuziosi con luci degne di Vermeer a quegli enormi e meravigliosi quadri astratti!

 
 
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